Il tempo, per la Sulmokron, si è “fermato” esattamente quel giorno.
In qualunque modo lo si voglia chiamare: lockdown, isolamento, chiusura, confinamento, sebbene il tempo, comunque, continuasse a passare, i cronometristi hanno vissuto un vero e proprio paradosso.
Come si può spiegare a chi è abituato a misurarlo, il tempo, che tutto si ferma?
Metti una mattinata di apparente normalità: le piste da sci di Roccaraso, sono pronte per le competizioni. Atleti, maestri, cronometri pronti allo start e un moto perpetuo di gente che, come moderni bianconigli, continua a ripetere <presto, che è tardi!>, animano le piste pronte per la competizione. Intanto, nel mondo, il timore che l’Organizzazione Mondiale della Sanità potesse annunciare ufficialmente che il Coronavirus diventasse una pandemia, iniziava già a preoccupare tanti  perché, se ciò fosse accaduto, l’organo sanitario delle Nazioni Unite avrebbe dato direttive molto stringenti.
E’ successo l’undici marzo: fermi tutti.
Intanto, però, l’otto marzo, tutto questo è ancora futuro. Così come dovrà ancora arrivare la decisione del Coni e delle Federazioni sull’emergenza coronavirus. Giovanni Malagò e i presidenti federali riuniti a Palazzo delle Federazioni hanno <sospeso tutte le competizioni sportive ad ogni livello>. La decisone porta la data del 9 marzo 2020. Mancano ancora 24 allo stop definitivo,  ma nessuno può saperlo  ancora!  E allora: tre, due, uno e quel suono, l’impulso del cancelletto, dà il via alla discesa; alla corsa tra i pali, all’inseguimento di quel secondo che può fare la differenza. La discesa è “chiara”, immaginata tante volte. Poi l’arco gonfiabile, il secondo impulso, l’arrivo! Nella <casetta dei cronometristi>, si registrano i tempi. I più curiosi si affollano ai piedi del tabellone. Gli addetti ai lavori seguono le gare sul telefonino con il “live timing”. I più diffidenti chiedono conferma dei tempi direttamente ai kronos, sebbene sia necessario aspettare quel tanto che basta per ufficializzare i dati. E le voci si rincorrono. Le mani ancora si stringono e i selfie ritraggono volti vicini, vicini che non possono (o non vogliono) immaginare che da lì, a qualche giorno, la parola distanziamento l’avrebbe fatta da padrona. E invece! Invece da qual giorno sono trascorsi più di due mesi: tantissimi giorni in cui si sono limitate, per non scrivere, azzerate, le occasioni per (ri)trovarsi e per sentirsi parte di una comunità; di una comunità qual è quella del mondo dello sci dove certamente non prevale il senso di solitudine e dove, l’idea di individualità,  si limita al tempo (appunto!) della gara per poi andare tutti a festeggiare aspettando il prossimo start.
A pensarci adesso, quel <ci si vede domani> che tanti pronunciavano quell’otto marzo, suona come una nota stonata. Tutta quella speranza contenuta in 4 parole, puntualmente, nell’arco di qualche ora, è stata delusa dall’avanzare muto e devastante di un virus che tutti abbiamo imparato a conoscere con il nome di Covid 19.
E allora good bye competizioni.  Aurevoir sfide. Cronometri, tabelloni, pc, stampanti, cuffie tornano nei loro “alloggi” prima di quanto si potesse pensare ad inizio stagione.
E adesso, come il copione beckettiano di Aspettando Godot, “guardiamo” il tempo che passa e rimaniamo in attesa.
Dovrà pur finire! Abbiamo voglia di ricominciare. I cronometri sono pronti.  I cronometristi anche!

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